Modifiche alla legge elettorale regionale molisana. Problemi e
osservazioni.
di Roberto Di Sario
Prende piede in Molise il dibattito sulla modifica della legge elettorale
regionale e da più parti giungono stimoli e suggerimenti o semplici
interrogativi su cosa sia opportuno fare per adeguare tale strumento al nuovo
scenario normativo determinato dalla riforma dello statuto regionale.
Curiosamente il tema fatica ancora ad imporsi proprio nella sede deputata ad
adottare tali decisioni. Nulla di veramente concreto filtra per ora se non
vaghi accenni e qualche “si dice”. Ma il Molise, fra le poche regioni non
ancora intervenute, non potrà sfuggire all’appuntamento con cui quasi tutte le altre
hanno fatto i conti (alcune ormai da anni), chi con modifiche radicali, chi con
ritocchi essenziali. La legislatura corrente è giunta a metà del proprio
percorso e, anche a non voler accogliere le suggestioni di chi ne auspica la
fine anticipata, occorre porsi ormai, in Consiglio regionale, il problema dell’idoneità
delle norme in vigore a regolare in tutti i suoi aspetti il procedimento di
attribuzione dei seggi nelle future elezioni regionali, coerentemente con gli
obiettivi che si intendono perseguire e con i principi che si è tenuti ad
osservare. Nelle seguenti note si affronta la questione privilegiando l’opzione
che salva l’impianto di base della legge vigente ma senza disdegnare qualche cenno
a ipotesi di riforma più radicali.
Cosa si vuole?
La legge n. 43 del 23.2.1995 (“Nuove norme per la elezione dei consigli
delle regioni a statuto ordinario”) contempla due meccanismi volti ad assicurare
alla parte vincente la maggioranza dei seggi consiliari: 1) la lista regionale (il
cosiddetto “listino” maggioritario), cioè i candidati collegati a un candidato
presidente che solo nel caso in cui questi risulti vincitore vengono eletti,
tutti o la metà di essi a seconda degli esiti del voto col sistema
proporzionale, e che possono rappresentare il 20% o il 10% dei componenti del
consiglio; 2) la possibilità di aumentare il numero dei consiglieri eletti nei
casi in cui, pur vincente e pur vedendo eletto in toto il proprio listino, la parte collegata al presidente eletto
non sia riuscita ad assicurarsi con le proprie forze il 60% o il 55% dei componenti
del consiglio. Si tratta del cosiddetto “doppio premio”, che ha fra le proprie
motivazioni la volontà di non amputare il risultato della pronuncia popolare ma
al tempo stesso quella di garantire al presidente eletto una maggioranza numericamente
ampia.
Il secondo dei suddetti meccanismi è venuto meno con l’entrata in vigore
del nuovo statuto regionale, che non contempla l’aumento del numero dei
consiglieri (a differenza di quel che accade per altre regioni, p. es. Abruzzo
e Calabria) lasciando così in piedi una normativa residuale che non dà alla
parte vincente la garanzia di una maggioranza solida e per la verità non
garantisce tout court una
maggioranza. Dell’altro meccanismo in molti auspicano la cancellazione per
assicurare maggiore peso alle liste circoscrizionali e maggiori possibilità di
essere eletto a chi in esse si candidi.
Sono questi i due presupposti da cui partire per una seria riflessione sul
tema della riforma della legge elettorale regionale in Molise, soprattutto ove
si miri a realizzarla con pochi qualificanti ritocchi.
Le possibilità di intervento minimale per una riforma della legge
aumenterebbero se lo statuto prevedesse (eventualmente a parità di costi)
l’assegnazione ai gruppi collegati al presidente eletto di una quota aggiuntiva
di seggi per garantire l’ottenimento del 60% o del 55% dei consiglieri nella
composizione così integrata, come previsto, a tutela delle maggioranze deboli,
nei numeri 7) e 8) del comma 13 dell’art. 15 della legge 108 del 1968 (“Norme per
la elezione dei consigli regionali delle regioni a statuto normale”), comma introdotto
con la legge 43/1995 e reso inapplicabile dall’articolo 15 del nuovo statuto.
Una modifica in tal senso della norma statutaria consentirebbe di conservare (rectius: ripristinare) la normativa che
ha regolato negli ultimi venti anni questa parte del procedimento elettorale e
di correggere tale procedimento in pochi specifici punti, in primis graduando il premio di maggioranza, che attualmente
scatta per intero o per metà senza possibilità intermedie portando in taluni
casi al curioso risultato dell’assegnazione a una coalizione forte di meno
seggi di quelli che essa otterrebbe se fosse un po’ più debole (è successo
anche in Molise nel 2001 e nel 2011), e rendendo certa l’attribuzione a
ciascuna circoscrizione dell’esatto numero di seggi spettante sulla base del
più recente censimento. Il listino maggioritario rientra certamente fra i punti
sensibili e intervenire su di esso risulterebbe assai meno problematico.
Senza tale correzione i problemi aumentano e le ipotesi di intervento si
moltiplicano e si complicano, pur residuando una normativa non bisognosa di
integrazioni per un regolare svolgimento delle elezioni. Il problema è sapere
cosa si vuole. Il Molise, allo stato attuale, dispone della stessa legge
elettorale che ha regolato le recenti elezioni in Liguria e che in quella
regione, in presenza di un quadro politico assai frammentato, non ha impedito
alla coalizione vincente di ottenere la maggioranza dei seggi, per quanto
risicata (16 seggi su 31; in vigenza del doppio premio sarebbero stati 19 su 34).
Ma – giova ripetere – la garanzia dell’ottenimento della maggioranza e ancor più
di una maggioranza qualificata non è data.
Collegi uninominali?
È stata ipotizzata da qualcuno una riforma radicale del sistema elettorale
nel senso di dividere il territorio in collegi uninominali e di adottare una
legge elettorale coerente.
La suddivisione del territorio regionale in microcollegi uninominali cozza
con il concetto di premio di maggioranza senza aumento dei seggi. Se eleggiamo
20 consiglieri col sistema uninominale e viene fuori una maggioranza ostile al
presidente direttamente eletto, come possiamo assicurare la maggioranza alla
parte di cui questi è espressione? Togliendo il seggio a chi lo ha ottenuto nel
collegio per darlo a chi si è piazzato alle sue spalle? Che senso avrebbe, in
tal caso, la divisione in microcollegi e l’adozione di quel sistema?
L’attribuzione di grande peso al territorio, a cui farebbe pensare la
scelta di un sistema con collegi uninominali, potrebbe anche portare alla
conseguenza estrema di disegnare la figura di un presidente non più eletto con
voto specifico e diretto, come previsto dallo statuto regionale, bensì
espressione dei collegi, come accade per le presidenziali statunitensi (dove i
collegi sono rappresentati ovviamente dagli stati). Ma in tale scenario
l’attribuzione di un premio di maggioranza sarebbe davvero un nonsenso.
Un rimedio, pur non pienamente risolutivo, potrebbe essere la suddivisione
del territorio in un numero di collegi inferiore a quello dei consiglieri da
eleggere. Ciò consentirebbe di intervenire in seconda battuta assegnando il
premio di maggioranza al gruppo di candidati collegato al presidente eletto. Ma
in che modo? Facendo entrare in Consiglio i meglio piazzati fra i non
vincitori? Non rinunciando al listino collegato al candidato-presidente? Per
quanto non facilissima a verificarsi, va tenuta presente un’ipotesi in conflitto
con tale soluzione: i seggi integrativi potrebbero rivelarsi non sufficienti per
raggiungere la percentuale che si intenda garantire alla parte vincente in
quanto questa, pur risultando la più votata a livello regionale, potrebbe essersi
vista sopravanzare nei singoli collegi ora da una ora da un’altra concorrente
localmente più forte, assicurandosi alcuni collegi con ampio margine e perdendone
altri per pochi voti. E va qui segnalata l’assoluta irrilevanza, in tale
contesto, di un eventuale divieto di voto disgiunto e persino di un divieto di
voto per il solo presidente.
Considerazioni analoghe a quelle svolte a proposito della compatibilità di
tale sistema con l’assegnazione di un premio di maggioranza possono farsi con
riferimento al problema opposto: come si garantisce, con la divisione del
territorio in collegi uninominali, la rappresentanza delle minoranze in
consiglio? L’ipotesi di una parte vincente con una distribuzione del consenso
sul territorio tale da assicurarle tutti i collegi non è fantascientifica: è quel
che accadde in Sicilia alle politiche del 2001. A permettere a quella regione
di eleggere alla Camera e al Senato anche alcuni rappresentanti delle liste di
minoranza fu soltanto la previsione nella legge di una quota proporzionale del
25%.
I collegi uninominali sono comunque materia sostanzialmente estranea alla
prospettiva, adottata in queste note, della conservazione dell’impianto di base
del cosiddetto “Tatarellum” (legge 43/1995) con adattamenti in parte obbligati
e in parte frutto di libere scelte.
Assegnazione di seggi in sede circoscrizionale e premio di maggioranza.
La divisione del procedimento di attribuzione dei seggi in due fasi,
circoscrizionale e regionale, è, per alcuni aspetti, produttiva di
complicazioni del sistema, pur risolvibili. Uno dei problemi connessi alla
conservazione dell’impianto di base dell’attuale legge elettorale regionale è
la compatibilità dell’assegnazione dei seggi da quoziente intero in sede
circoscrizionale con quella del premio di maggioranza senza aumento dei seggi. Scenario:
si dispone di assicurare alla parte vincente una maggioranza qualificata, p.
es. il 60% dei seggi; il presidente eletto è collegato a una coalizione che con
la propria forza ne ottiene il 40%; bisogna sottrarre il restante 20% ai gruppi
sconfitti per assegnarlo a quelli collegati al presidente eletto. Se un gruppo
o una coalizione di minoranza, o in generale la totalità dei gruppi perdenti, si
vede assegnare in sede circoscrizionale un numero di seggi superiore a quello
spettante in via definitiva cosa si fa? Si sottraggono seggi ottenuti con il
quoziente circoscrizionale pieno? Ma allora che senso ha preservare la fase
circoscrizionale? Il discorso può estendersi ovviamente anche alla totalità dei
seggi assegnati ai gruppi perdenti nelle due fasi.
Un rimedio, pur non pienamente risolutivo, potrebbe consistere nell’adozione,
nel procedimento di assegnazione dei seggi in sede circoscrizionale, di un
divisore pari al numero dei seggi da eleggere, senza l’aumento di uno, previsto
attualmente. Ciò ridurrebbe le possibilità di ottenimento di seggi in tale sede
e conseguentemente di superamento, nella stessa, del totale dei consiglieri
spettanti. Anche l’eliminazione del sistema di voto disgiunto ridurrebbe in
misura significativa tale possibilità, ma senza azzerarla, essendo ancora
consentito il voto per il solo presidente.
Risolutiva si rivelerebbe piuttosto l’adozione nelle circoscrizioni di due
diversi quozienti per l’assegnazione dei seggi, uno di maggioranza e uno di
minoranza, allo scopo di evitare di attribuire a qualche lista di minoranza, in
quella sede, dei seggi che al termine del procedimento potrebbero rivelarsi non
spettanti. Una scelta in tal senso comporterebbe la subordinazione di parte dell’attività
dell’ufficio centrale circoscrizionale a un atto di competenza dell’ufficio
centrale regionale, vale a dire l’individuazione di quale fra i candidati alla
presidenza risulti il più votato in regione. Nell’ipotesi in considerazione, conseguentemente,
anche la fase regionale del procedimento di attribuzione dei seggi dovrebbe prevedere
due distinti canali.
Doppio quoziente e quoziente unico.
Se si stabilisce che la ripartizione dei seggi fra maggioranza e minoranze
è in un determinato rapporto (p. es., 60 a 40) qualunque sia il totale dei voti
ottenuti dalla parte vincente (anche ove questa, per restare nell’esempio, superi
in misura significativa il 60%), in sede circoscrizionale basterà procedere al
calcolo e all’utilizzo di due quozienti elettorali, uno di maggioranza e uno di
minoranza. In caso contrario, ove si stabilisca che alla parte vincente spetti
comunque un numero di seggi non inferiore a una data percentuale (poniamo il 60%),
prima dell’eventuale calcolo e dell’utilizzo di due diversi quozienti sarà
necessario utilizzarne uno da applicare indistintamente a tutte le liste
(quoziente unico) allo scopo di verificare se i voti della parte vincente siano
sufficienti ad assicurare a questa l’attribuzione di un numero di seggi pari o
superiore a quella percentuale (similmente a quanto previsto per le elezioni
comunali). Si potrebbe stabilire, ad esempio, che ove il gruppo di liste o la coalizione
vincente ottenga non più del 60% del totale dei voti validi si debba utilizzare
in ambito circoscrizionale il sistema a due quozienti, con attribuzione “fissa”
del 60% dei seggi (più il presidente) alla parte vincente e del restante 40%
alle parti perdenti, e che invece ove quella percentuale venga superata si
utilizzi un quoziente unico. Andrebbe però individuato in tal caso il numero di
seggi non oltrepassabile da parte del gruppo o della coalizione vincente, a
tutela della rappresentanza delle minoranze.
Nella prima delle soluzioni testé considerate, prima di procedere all’assegnazione
dei seggi le commissioni circoscrizionali dovrebbero comunicare a quella
regionale il risultato del voto maggioritario nel loro territorio e ricevere da
questa la comunicazione dell’esito di tale voto in tutta la regione onde
procedere alla determinazione a all’utilizzo dei due quozienti, il che potrebbe
comportare qualche problema per una delle due, ove l’altra tardasse ad
assolvere a quel compito a causa di disguidi e/o ritardi nei seggi. Ancor più condizionato
dall’altrui operato sarebbe quello delle commissioni circoscrizionali se
venisse adottata l’altra soluzione: occorrerebbe conoscere l’esito del voto a
livello regionale non solo per il maggioritario, ma anche per il proporzionale.
Una soluzione a questo problema, pur salvaguardando la divisione del procedimento,
potrebbe essere l’affidamento di entrambe le fasi alla commissione regionale (limitando
in sostanza i compiti di quelle circoscrizionali alla verifica e alla somma dei
voti e delle preferenze), come accadrebbe in un procedimento indiviso.
L’articolazione in due fasi è coerente con altre e significative
peculiarità del sistema elettorale fin qui in vigore (come il doppio premio di
maggioranza) che non faranno parte o potrebbero non far parte del nuovo sistema,
per necessità o per scelta. Ciò la rende non indispensabile e dunque la sua
conservazione o il suo rigetto dovrà essere frutto di una decisione consapevole.
L’unificazione delle due fasi, come la divisione del territorio in collegi
uninominali (per non parlare della previsione di soglie di sbarramento a due
cifre, e non per tutti...), rappresenterebbe però uno stravolgimento radicale
dell’attuale legge e ciò esime dall’approfondire il tema in questa sede.
Garanzia dei seggi alle minoranze. Soglia di sbarramento. Ambito
circoscrizionale e elezione a consigliere del candidato presidente piazzatosi
secondo.
In caso di utilizzo del quoziente unico, che garanzia hanno le forze di minoranza
di essere rappresentate? Come interpretare il riferimento che il punto a) del comma 1 dell’articolo 4 della
legge 165/2004 fa a tale garanzia («individuazione
di un sistema elettorale che [...] assicuri
la rappresentanza delle minoranze»)? È sufficiente prevedere l’elezione a
consigliere del candidato presidente piazzatosi secondo o è opportuno stabilire
un numero di consiglieri al di sotto del quale le minoranze non possano
scendere? Premessa una doverosa sottolineatura dell’uso del plurale «minoranze» da parte del legislatore, va
detto che in determinate circostanze, non facili a verificarsi ma da tenere in giusta
considerazione, assicurare con specifiche norme l’elezione di un numero minimo
di consiglieri potrebbe essere l’unica via per garantire a tali gruppi la presenza
in consiglio.
Può sembrare strano, ma nel sistema elettorale vigente una garanzia per la
rappresentanza delle minoranze è stata ed è la previsione del premio di
maggioranza, per la precisione la norma che dispone che nel caso in cui la
parte vincente abbia ottenuto almeno il 50% dei seggi consiliari con il solo
voto proporzionale il premio di maggioranza si riduca dal 20% al 10% e l’altro
10% dei seggi sia assegnato ai gruppi di minoranza. È evidente che ove si abrogassero
le norme che prevedono e regolamentano il listino maggioritario tale meccanismo
verrebbe meno.
Non è pienamente compatibile con la garanzia della rappresentanza delle
minoranze in consiglio la sussistenza di una soglia di sbarramento. Nell’ipotesi
teoricamente estrema (nessun gruppo o coalizione supera la soglia) i gruppi di
minoranza potrebbero restare privi di seggi. Altra eventualità da considerare è
l’assegnazione a uno o a più gruppi di un numero di seggi troppo elevato
rispetto alla loro effettiva forza, a scapito di quelli, numerosi per ipotesi,
rimasti di poco al di sotto della soglia, rischio peraltro naturale in un
sistema che la preveda. La conservazione della soglia di sbarramento appare priva
di utilità soprattutto se si tiene conto del numero di consiglieri (sedici) da
eleggere in Molise attraverso le liste. Anche ove si decidesse di abolire il
listino, nella più estrema fra le ipotesi di distribuzione del voto fra i
gruppi (tutti quozienti di un ventesimo o multipli di questo) occorrerebbe
ottenere ben il 5% dei voti per assicurarsi un seggio. Si rivela in ogni caso
inutile e ridondante la conservazione del 3% come soglia, agendo assai più
efficacemente da sbarramento l’esiguo numero di seggi da eleggere. Il che non
vuol essere un invito ad innalzare tale soglia, se non altro perché solitamente
i legislatori elettorali non hanno bisogno di essere incoraggiati in tal
senso...
La normativa che ha regolato in Molise il sistema di attribuzione dei
seggi fino alle più recenti elezioni regionali evocava una certa “sacralità” di
quelli assegnati in circoscrizione a partire dall’art. 5, comma 1, ultimo
periodo, della Legge costituzionale 22.11.1999, n. 1, che, pur di non
sacrificare un seggio ottenuto con quoziente intero in tale ambito, arrivava a
prevedere l’aumento del numero totale dei seggi per far posto a chi si fosse
piazzato secondo fra i candidati alla presidenza nel caso in cui tutti i seggi
spettanti alle liste ad esso collegate fossero stati assegnati con quoziente
intero in sede circoscrizionale. Ciò non è più possibile in vigenza del nuovo statuto
regionale, che non consente che i seggi assegnati alle liste superino il numero
di venti. Dunque se si vorrà continuare a garantire l’elezione a consigliere
del più votato fra i candidati-presidente sconfitti sarà necessario prevedere
che il seggio a questi riservato sia sottratto da quelli assegnati alle liste
collegate anche nel caso in cui tali seggi siano scattati tutti nelle circoscrizioni.
Ridurre di uno il numero dei seggi da assegnare in ambito circoscrizionale
penalizzerebbe una delle due circoscrizioni in quanto ridurrebbe preliminarmente
il numero dei seggi ad essa spettanti in base alla popolazione.
Garanzia dell’assegnazione a ciascuna circoscrizione del numero di seggi
spettante. Intervento “minimale”.
Il sistema elettorale fin qui operante in Molise, pur essendo di raro
pregio, lasciava irrisolti alcuni problemi, parte dei quali risulta superata nel
quadro normativo scaturente dalla vigenza del nuovo statuto regionale. Fra
quelli tuttora sussistenti ha un peso rilevante la questione dell’assegnazione
a ciascuna circoscrizione del numero di consiglieri spettante in base alla
popolazione (art. 2, comma 2, l. 108/68). Le vicende elettorali del Molise,
come quelle di altre regioni, hanno visto il succedersi di legislature nelle
quali l’assegnazione a ciascuna circoscrizione dell’esatto numero di
consiglieri spettante ha costituito l’eccezione piuttosto che la regola. Una
disattenzione del legislatore motivata probabilmente anche dalla circostanza
che tale norma non è mai assurta a principio di rango costituzionale (o
statutario), diversamente da quella operante in materia di elezioni politiche. E
se consideriamo lo scarso interesse manifestato dal legislatore ordinario
persino nei confronti del comma 4 dell’art. 56 della Costituzione tale “svista”
regredisce certamente a peccato veniale.
Eppure correggere la legge su questo punto sarebbe stato, ed è, operazione
quanto mai facile, soprattutto per regioni divise in due sole circoscrizioni, per
di più assai differenti per numero di abitanti, quale è il Molise.
I modi per intervenire sono vari. Si ritiene con convinzione di poterne
suggerire qui uno straordinariamente semplice ed efficace, pur nella
consapevolezza che per sua natura una legge elettorale non può venire incontro
contemporaneamente e pienamente a tutte le esigenze in gioco ma solo
contemperarle, in quanto queste non sono mai pienamente conciliabili, operando
su piani diversi e talvolta in contrasto fra di loro. L’esempio più pertinente
in questa sede con tale argomento è appunto quello del conflitto fra l’attribuzione
a ciascuna circoscrizione del numero di consiglieri spettante e l’assegnazione del
seggio spettante a un gruppo di liste alla circoscrizione in cui la relativa
lista abbia ottenuto la più alta fra le quote percentuali dei quozienti
circoscrizionali. Garantire sempre e comunque quest’ultima esigenza, come fa la
legge vigente (art. 15, comma 10), può tradursi assai facilmente nel sacrificio
dell’altra. La soluzione che qui si propone inverte questo ordine di priorità e
riconosce all’adeguata rappresentanza numerica dei territori nel consiglio
regionale maggiore dignità rispetto alla prevalenza di una percentuale di
quoziente elettorale circoscrizionale su un’altra. Oltretutto, si badi bene,
quasi mai a tale prevalenza corrisponde un maggior peso (percentuale) di un
gruppo in una determinata circoscrizione, soprattutto in regioni con
circoscrizioni notevolmente differenti per dimensione come il Molise. Anzi, in
virtù di quella differenza demografica, si assiste facilmente all’assegnazione
del seggio alla lista che nella propria circoscrizione ha ottenuto una
percentuale di voti notevolmente più bassa, a volte persino la metà, di quella della
lista presente nell’altra circoscrizione.
Il metodo, oggetto di una fase “correttiva” (o “di riequilibrio”) del procedimento
di attribuzione dei seggi da posporre alle due contemplate nella legge vigente,
consiste nell’individuare fra i gruppi presenti in entrambe le circoscrizioni che
si sono visti attribuire in prima battuta un seggio con i voti residuati o con
i resti nella circoscrizione “eccedentaria” quelli per i quali la differenza fra
le quote percentuali dei quozienti elettorali circoscrizionali risulti minore. Con
l’adozione di questo metodo i seggi spettanti a tali gruppi verrebbero
assegnati, in misura pari a quella dello squilibrio, alla circoscrizione
deficitaria (va precisato che si è utilizzato qui il termine “gruppo” in luogo
di “lista” coerentemente con quanto fa la legge per indicare le liste con lo
stesso simbolo presentate da una formazione politica nelle diverse
circoscrizioni). La relativa novella consisterebbe nell’aggiunta all’articolo 15
della legge 108 del 1968 di un comma, l’11 bis
(o nella sostituzione dell’attuale comma 12, che verrebbe abrogato o diverrebbe
l’incipit del comma 13; o
nell’aggiunta, mutatis mutandis, di
periodi al comma 10). E così reciterebbe:
«Se al termine delle operazioni di
cui ai due commi precedenti ad una delle circoscrizioni risultano attribuiti
più seggi di quelli ad essa spettanti, si individuano, in numero pari a quello
dei seggi in eccedenza, i gruppi presenti in entrambe le circoscrizioni ai
quali in detta circoscrizione sia stato attribuito un seggio con i voti
residuati o con i resti e per i quali la differenza fra le percentuali dei
quozienti elettorali circoscrizionali risulti più bassa e si attribuiscono i
relativi seggi alla circoscrizione deficitaria. Nel caso in cui detta
differenza sia identica per due o più gruppi, l’attribuzione del seggio alla
circoscrizione deficitaria viene effettuata per il gruppo o per i gruppi per i
quali risulti maggiore la differenza fra il numero dei seggi attribuiti nella
circoscrizione eccedentaria e quello dei seggi attribuiti nella circoscrizione
deficitaria o, in caso di parità, per quelli che abbiano ottenuto il maggior
numero di seggi nella circoscrizione eccedentaria. In caso di ulteriore parità
si procede a sorteggio. Sono esclusi da tali operazioni i gruppi di cui al
comma precedente e quelli ai quali sia stato attribuito un seggio con i voti
residuati o con i resti anche nella circoscrizione deficitaria.».
C’è chi sostiene, in un’ottica minimalista, che un intervento “di
emergenza” sull’attuale sistema elettorale regionale potrebbe anche
sostanziarsi nella mera correzione di tale “difetto”, ma è forse opportuno tener
presente che il summenzionato comma 1 dell’articolo 4 della legge 165/2004 non
interviene soltanto a garanzia delle minoranze, ma, sia pure con minore
intensità, anche della maggioranza («individuazione
di un sistema elettorale che agevoli la formazione di stabili maggioranze nel
Consiglio regionale»).
Candidati presidente senza le liste regionali.
Uno degli auspici più frequentemente espressi da chi manifesta interesse
per la riforma della legge elettorale regionale è certamente quello
dell’abolizione del cosiddetto listino maggioritario. Il problema fondamentale connesso
a una decisione in tal senso sarebbe costituito dalla scelta della modalità di
elezione dei quattro membri del consiglio che il sistema attualmente in vigore dispone
provengano, in tutto o per metà, dal listino. Una volta eliminati i listini, i
quattro seggi da assegnare rimarrebbero oggetto di una autonoma procedura o andrebbero
a sommarsi indistintamente agli altri sedici? In entrambi i casi non vi
sarebbero più candidati al di fuori delle liste presentate per il
proporzionale, eccezion fatta per gli aspiranti alla presidenza.
Si può decidere di eliminare il listino conservando il distinto meccanismo
di attribuzione dei seggi. In sostanza quelli ottenuti col voto maggioritario
sarebbero forniti dalle liste del proporzionale e si continuerebbe a garantire
la loro parziale assegnazione alle minoranze in presenza di una parte vincente troppo
forte. È evidente che l’opzione per tale sistema confermerebbe l’attuale favor nei riguardi dei gruppi più forti,
sia di maggioranza che di minoranza, che fatalmente sono avvantaggiati quando
si riparte da capo per un conteggio di quozienti, cioè dal gruppo più votato
anziché dal gruppo che segue in graduatoria quello a cui è stato assegnato
l’ultimo seggio col conteggio precedente. Il problema principale collegato a
una scelta di questo tipo sarebbe come garantire alla parte vincente una
maggioranza consiliare stabile, considerato quanto detto a proposito
dell’abolizione del “doppio premio”.
Di opposto segno sarebbe una norma che disponesse l’assorbimento dei
quattro seggi nell’insieme esclusivo di quelli assegnati col sistema
proporzionale. Nessun problema comporterebbe per l’attuale meccanismo il
passaggio da 16 a 20 seggi. Cambierebbero il divisore e i quozienti in ambito
circoscrizionale, naturalmente, ma tale procedimento conserverebbe la propria
linearità. Come è ovvio e come risulta chiaro da quanto osservato in
precedenza, una abolizione totale dell’attuale fase “maggioritaria” avrebbe però
riflessi significativi sulle possibilità di attribuire una rappresentanza
consiliare numericamente sicura a una parte vincente non in grado di
assicurarsela con i propri voti. Ciò renderebbe obbligate alcune scelte
correttive coerenti con tale obiettivo. Fra le diverse possibili risposte a
tale esigenza emerge quella su ipotizzata dell’adozione di due distinti
quozienti, uno di maggioranza e uno di minoranza, nelle due fasi del
procedimento di attribuzione dei seggi, con i connessi problemi ivi analizzati.
E ciò perché il doppio quoziente dà quella garanzia della voluta ripartizione
numerica dei seggi fra maggioranza e minoranze che non è pienamente offerta
dalla mera sussistenza di un premio maggioritario, in quanto, come più volte
ripetuto, non può più intervenire a integrazione di quest’ultimo un aumento del
numero dei consiglieri eletti.