PROGETTO
MUSICA ITALIANA · V EDIZIONE (1-10 SETTEMBRE 2005)
Speciale Luigi Boccherini a duecento anni dalla morte
direzione artistica di
Andreina Di Girolamo
PRESENTAZIONE
Prigioniero di un
minuetto?
Boccherini? Ah, quello
del Minuetto... E sì, questo è stato per tanto tempo e in parte è ancora il
destino di Ridolfo Luigi Boccherini, da Lucca (n. 19 febbraio 1743), virtuoso
del violoncello e compositore. Un destino non cinico e baro, per certi versi.
Quanti suoi colleghi possono vantare un simile automatismo di accostamento?
Provate a chiedere a qualcuno, anche in una sala da concerto, di canticchiare
un brano – che so? – di Cherubini, per restare in ambito italiano. Quanti, non
esperti del settore, saranno in grado di rispondere con pari immediatezza?
Molto più facile ottenere un tra-la-la-la-laa-llaaaa-laaaa-laa-llaa-raa-llaaaa...
una volta evocato il nome del lucchese. È evidente il riferimento non al genus
minuetto, ma a uno specifico brano, facente parte del Quintetto in mi magg.
op. 11 n. 5 per due violini, viola e due violoncelli (1771), riproposto nel
corso dei secoli in numerosissime versioni. Non pare del tutto fuori luogo,
dunque, a duecento anni dalla morte del compositore (Madrid, 28 maggio 1805),
gran trascrittore di se stesso peraltro, utilizzare un nuovo, recentissimo
arrangiamento per clavicembalo a quattro mani di questa composizione come
introduzione a una rassegna commemorativa (l’intero quintetto nella sua
versione originale viene proposto nel secondo dei quattro appuntamenti in
programma), anche per riaffermare il carattere niente affatto irriguardoso di
un’equazione, Boccherini=minuetto, certamente limitativa ma pienamente
rispettosa di uno degli elementi portanti del percorso artistico e umano del
nostro compositore.
Boccherini l’estraneo
Fortunato, dunque, in
fondo. Ma in qualche modo prigioniero. Prigioniero di un minuetto? Non va posta
proprio in questi termini la questione. È ormai da più di mezzo secolo, dal
secondo dopoguerra, che ha avuto inizio la sua riscoperta musicologica, portata
avanti con scrupolo e metodo filologico e sostanzialmente prossima a
completezza. È del 1969 la prima sistemazione del catalogo delle opere
effettuata, tematicamente, da Yves Gérard (da qui la lettera G presente nei numeri
di catalogo), preceduta e seguita dall’impegno e dalla tenacia di musicisti e
musicologi instancabili. Si arricchisce di sempre nuovi apporti la biografia.
Sono ormai numerosissime le incisioni discografiche delle opere dei più vari
generi. Il problema è un altro. Quante delle persone che domani entreranno in
un negozio di dischi per acquisire alla propria raccolta un’undicesima edizione
della Tosca (per non allontanarci troppo da Lucca), o una
trentaquattresima della Nona di Beethoven (rimpiangendo magari di non
poterle possedere tutte, le centinaia in catalogo), quante di queste saranno
attratte dalle ultime incisioni boccheriniane? Poche, probabilmente. È il
sintomo di una sostanziale estraneità di questa musica al patrimonio culturale
non dico di massa, ma diffuso. Ed è l’effetto di una selezione spietata che ha
avuto e ha come cardine tematico l’appartenenza o meno (o l’afferenza) di
questo o quel compositore al ceppo germanico e al classicismo viennese e a quel
che ne conseguì, linea portante di una concezione evolutiva della musica che
relega al ruolo di comprimario (nel migliore dei casi) se non di comparsa
chiunque le sia estraneo, sia pure per scelta consapevole (è certamente il caso
di Boccherini). Ma in fondo, e forse soprattutto, è anche l’effetto della
pressoché totale dissipazione non del patrimonio ma piuttosto (ed è peggio)
della tradizione della musica strumentale italiana del Settecento operata
dall’affermarsi del melodramma, già imperante in quel secolo ma sovrano
assoluto e dispotico dell’Ottocento musicale nel nostro paese. Ricchezza
inestimabile, il melodramma ottocentesco, ma produttiva di effetti distruttivi
giunti ad interessare anche una discreta parte del secolo successivo. Si badi
bene, un destino condiviso: basti pensare alla tutto sommato ancor recente
riscoperta dello stesso Vivaldi.
Tra Lucca e Vienna, giovanissimo
Boccherini paga anche il
suo essere contemporaneo all’affermarsi della scuola classica. Con una Vienna
ormai agli albori di quel capitolo fondamentale della storia della musica egli
prese contatto a quindici anni, fresco dell’esperienza romana di
perfezionamento in composizione e contrappunto con Giovanni Battista Costanzi
cui l’aveva condotto il suo essersi distinto come promettente violoncellista in
una città, la repubblicana Lucca, in cui la musica era una presenza viva e
stimolante e vivi e fecondi erano gli scambi culturali con altre realtà non
sempre vicine (e non di rado più ricche). In una di queste, la capitale
dell’impero asburgico, in tre distinti soggiorni lungo un arco di sei anni,
Boccherini fu membro dell’orchestra imperiale, si segnalò come virtuoso (sorte
che lo accomuna, sia pur con minor fortuna, ad altri illustri italiani, quali
Mauro Giuliani e Niccolò Paganini, che in anni successivi vi avrebbero ottenuto
unanimi riconoscimenti e gloria e cui si rende omaggio nel terzo dei nostri
concerti) e cominciò a rivelarsi come autore di composizioni, in particolare
trii e quartetti, in cui il suo strumento, il violoncello, appare già
emancipato dal ruolo di basso continuo di derivazione barocca ricoperto nei
primi, recenti lavori, cosa che fu molto apprezzata da Gluck (Boccherini lo
omaggerà qualche anno dopo nel finale di una delle sue sinfonie più note, “La
casa del diavolo”, op. 12 n. 4).
Da Vienna andò via
definitivamente nel 1764, una volta ottenuto l’incarico di violoncellista nella
Cappella Palatina di Lucca. A questo impegno affiancò nei seguenti anni
lucchesi ulteriori esperienze di arricchimento formativo, fra le quali
primeggiano quelle milanesi dell’incontro con Sammartini e il suo innovativo
linguaggio sinfonico e della formazione di un quartetto, il primo di cui si
abbia notizia, con Nardini e Manfredi ai violini e Cambini alla viola.
A Parigi per poco, in Spagna per
sempre
Fu proprio con Filippo Manfredi
che Boccherini nel 1767, alla morte del padre Leopoldo che ne aveva fin qui
guidato le scelte, decise di abbandonare Lucca per raggiungere Parigi. La
capitale francese all’epoca sovrastava Vienna quanto a diffusione e sviluppo
dell’editoria musicale e anche a vivacità delle stagioni musicali, elementi
(soprattutto il primo) che non potevano lasciare indifferente un compositore
ansioso di affermarsi e di farsi conoscere. Anche la permanenza parigina fu
breve. Poco significativa dal punto di vista dello strumentista, assai più per
l’incontro con i musicisti di Mannheim, le cui opere erano lì regolarmente
eseguite, assolutamente decisiva per la diffusione delle sue composizioni in
virtù dei contatti instaurati con gli importanti editori del posto. Da questi
Boccherini ottenne le prime pubblicazioni e a questi, pur non sempre con animo
sereno, avrebbe affidato negli anni successivi gran parte dei propri lavori.
Ma il luogo in cui
l’assai cospicua produzione doveva attuarsi è la Spagna. Il musicista, ormai
pienamente formato, vi giunse, con Manfredi, nel 1768 e vi restò fino alla
morte. Pur con alterne vicende e fortune nei rapporti con gli ambienti di corte
e con i diversi committenti, la maestria compositiva, l’equilibrio, la suprema
eleganza, l’inesauribile inventiva tematica trovarono lì pieno sfogo e
attuazione con esiti la cui eccellenza fu ampiamente riconosciuta dai
contemporanei.
L’altra musica strumentale
Un ammirevole esempio
di eleganza è costituito dalla serie dei sei Quartettini op. 26 (tutti in
due tempi e con un minuetto come secondo tempo) che vengono proposti nella
prima delle quattro serate della presente rassegna nella trascrizione anonima
per due cembali. Di uno di essi, il quarto, è anche in programma, nel terzo
concerto, la versione originale. È questa una delle poche raccolte sfuggite
all’intraprendenza degli editori francesi, alle cui richieste di composizioni
“facili” Boccherini dovette consentire in più di un’occasione per poter vedere
approdare alla stampa le opere che più ne riteneva degne. I quartettini furono
pubblicati a Vienna (come op. 32) da Artaria, l’editore di Haydn. E qui si
torna al confronto coi viennesi, Mozart compreso. Fu proprio per merito della
diffusione editoriale delle loro musiche che Boccherini sfuggì al preteso e
solo in parte effettivo isolamento dalla vita musicale che conta di cui sarebbe
stato vittima a Madrid, a Las Arenas e poi di nuovo nella capitale. Egli poté
conoscere, in Spagna, i segreti di quelle musiche, confrontarsi con esse. Ma
non prese la tessera. Rimase Boccherini. In sintesi, attingendo alla mirabile
lezione di Francesco Degrada: «Natura essenzialmente lirica, Boccherini
elaborò una propria misura di straordinaria raffinatezza, che s’incarna
anzitutto in un’invenzione melodica idiomaticamente plasmata sulla tecnica
esecutiva degli strumenti ad arco. [...] La mentalità intimamente
antidialettica del musicista fa sì che una ricchissima irradiazione melodica si
incarni in una pluralità di figure tematiche intimamente consonanti nello
spirito le une con le altre, e sostanzialmente renitenti a una contrapposizione
drammatica nello sviluppo: l’interesse per un ordito strumentale che dia spazio
a una scrittura altamente elaborata delle singole parti e un’intima propensione
per il loro rapporto concertante spiega [...] l’interesse e l’enfasi –
diremmo – posta sui tempi moderati o lenti, che sembrano assumere su di sé la
funzione di pilastri portanti che i viennesi conferivano agli allegri».
Tutto questo è dato riscontrare nella copiosa produzione per strumenti ad arco,
in particolare i quintetti con due violoncelli (ben 114 nel catalogo Gérard), si può dire una sua invenzione, in
parte dettata dalla “furbata” di comporre musiche che gli consentissero di
aggregarsi col suo strumento al famosissimo quartetto Font, attivo presso la
corte dell’infante Don Luis, a Las Arenas. Nel secondo dei nostri appuntamenti,
a due di questi quintetti sono affiancati uno dei concerti per violoncello e
orchestra (eseguito a parti reali) e un quartetto e un sestetto in cui agli
archi si aggiunge un flauto. E la chitarra? Poteva mai Boccherini
disinteressarsi, in terra di Spagna, a questo strumento? Dedicò ad esso una
significativa parte della sua ultima stagione creativa, in particolare
trascrivendo e assemblando in appositi quintetti parti singole di quintetti
concepiti originariamente per un complesso con due violoncelli, e ciò allo
scopo di assecondare i desideri del marchese Benavente, chitarrista dilettante
di livello e fra gli ultimi suoi mecenati accanto a Luciano Bonaparte e,
soprattutto, a Federico Guglielmo II di Prussia. Nel terzo dei nostri
appuntamenti ascolteremo quello in re maggiore G 448, celebre per il Fandango
che lo conclude.
L’altro Boccherini
Compositore
strumentale per antonomasia, dunque, Boccherini. Ma a completamento di un
ritratto sia pur sommario non si può tacere della sua produzione vocale. Una
zarzuela, villancicos, arie e duetti per voci e orchestra e composizioni di
carattere sacro. Su queste ultime svetta l’ispiratissimo Stabat Mater
ch’egli concepì nel 1781 per soprano e archi ma diede alle stampe solo nel 1801
e nella versione approntata l’anno precedente per due voci femminili e un
tenore con alcune aggiunte e con modifiche di varia natura e che è quella che
concluderà la presente rassegna. Ad introdurlo sarà una composizione a suo modo
anch’essa espressiva di un “altro” Boccherini, un Boccherini che non disdegnò
di cimentarsi e confrontarsi con la musica “di strada” e il descrittivismo,
vale a dire il quintettino “La musica notturna delle strade di Madrid”
(qui eseguito in versione per orchestra d’archi). «Questo
pezzo è totalmente inutile – scrisse una volta all’editore Pleyel – ed
anche ridicolo fuori di Spagna, poiché non possono gl'uditori giammai
comprenderne il significato, né gli esecutori sonarlo come deve essere sonato».
Ma proprio così inutile non dovette tutto sommato considerarlo, se è vero che
della sezione finale, le Variazioni sulla Ritirata notturna delle strade di
Madrid, approntò nel corso degli anni ben cinque versioni. Di quattro di
esse si sarebbe servito quasi due secoli più tardi Luciano Berio (tralasciando
la più ripetitiva e ossessiva delle cinque, più adatta forse a un redivivo
Ravel) per approntare, nel 1975, la sua Quattro versioni originali della
“Ritirata notturna di Madrid” di Boccherini sovrapposte e trascritte per
orchestra, che costituisce uno dei più
significativi riconoscimenti del secolo appena trascorso al grande lucchese.
Roberto Di Sario